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M I E P O E S I E
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I R R A Z I O N A L I T A'
A nulla serve risalire,
le correnti del fiume in piena,
in preda alle emozioni.
Le pietre levigate,
rotolanti sulle carni,
non potrebbero lavare la coscienza.
Quelle aguzze solo ad allargare
lo squarcio già aperto,
delle ferite dell'anima.
Anima in pena,
che non conosce pace.
Non riesce a frenare il suo pensiero
e vaga.
Vaga per inutili sentieri
che non portano a meta,
ma solo a un gran dolore.
Si attorciglia il pensiero su se stesso
e odia quel puro sentimento,
che quando espresso e rifiutato,
corrode a dismisura la coscienza,
fino a farti rimpiangere di essere nato.
Così la volontà si annulla,
si smarrisce la ragione
e ti ritrovi solo con te stesso,
nell'impotenza di una spiegazione.
FORSE COSI'
A chi ne sa godere, perpetua gioia.
A chi sa spendere bene, tanta ricchezza.
Al coraggioso eroe forza, virtù e gloria.
A chi è quasi arrivato, tanta saggezza.
A tutti gli altri, miseria infinita,
tanto che se ne fanno della vita?
R I A S S U N T O
Sono stato solo sfiorato
da attimi di gioia,
quando ho vinto le partite della vita.
La felicitÃ
ha solo accarezzato il mio cuore,
come un’ illusione vaga e passeggera.
Non ho conosciuto l’amore.
Io l’ho vissuto nella fantasia.
Come una bolla che si riempie d’aria,
libera vola, senza confini.
Ho coccolato ogni illusione.
Esaudito ogni desiderio, col pensiero.
Questa immaginazione mi ha portato
a non vivere la vita che, intanto,
per il tempo che ho aspettato,
questa è fuggita.
I preti, i libri, i genitori,
mi hanno detto che alla vita
non va concessa alcuna leggerezza.
Ora che son vecchio capisco
che è illuminazione,
è solo una carezza.
Una carezza che ti sfiora appena
e che è fatta di mille sfumature.
La devi cogliere,
la devi gustare,
senza incertezze e senza religioni.
Senza paure.
Le mie passioni, anzi,
della mia fantasia,
le ho sempre imprigionate,
sempre represse.
Come fossero peccati.
Ho appena assaporato
la dolcezza delle sensazioni
che sono rimaste confinate nella mente
come splendidi visioni.
Visioni di pensieri
che non hanno preso e dato.
Ora che ne faccio il riassunto,
quel che mi resta non è più il pensiero,
ma la certezza di non aver goduto
e scopro, con angoscia,
l’amarezza di non aver vissuto.
S T A N C H E Z Z A
Ancora, a sessant’anni,
a camminare scalzo sulle acque,
volare tra i fili della luce.
Ancora correre sui prati
senza sfiorarne l’erba,
senza lasciare impronte,
oppure ed anche,
rincorrere le ombre.
Ancora, a sessant’anni,
fantasticare nel buio,
navigare la tempesta
o cavalcarne le onde.
Onde che travolgono
i pensieri di fanciullo,
seppure ha sessant’anni.
Incapace di risveglio alla ragione.
Onde che partono lontane per infrangersi
sugli scogli della vita.
Scogli di pietra viva dentro al mare.
Mare in tempesta,
come la fantasia ardente,
squarcia la mente.
Comunque, a sessant’anni,
non si riprende la vita distorta,
confusa dal pensiero.
Vista attraverso la luce di un prisma
che, con bizzarria, la scompone ,
rendendola irreale.
Adesso, a sessant’anni,
non si coglie più il frutto,
perennemente acerbo, della vita.
Dei frutti non colti, purtroppo,
ne resta solo poesia.
Il resto ch’ho da vivere,
per me sarà soltanto EUTANASIA
SENZA SPERANZA
Quale diritto ho di affacciarmi alla vita?
Assaporare le splendide emozioni
che, come un nodo, frenano il respiro.
Non devo farmi tentare
dalla dolce sensazione,
di un sentimento consapevole,
da un trasporto travolgente di passione.
Quale diritto ho?
Devo restare chiuso nel mio vaso.
Non devo dare ascolto alla voce
del mio sentimento che,
prepotente, cerca di volare.
Volare libero a cercare un’anima non avara.
Quale diritto ho?
Non ho il diritto di catturare
sguardi accattivanti della seduzione.
Devo spogliarmi di ogni sensazione.
Non ho diritto a godere,
dell’impalpabile piacere,
di una tenera carezza.
Quale diritto ho?
Non ho diritto al semplice
istinto del piacere,
che trascende la gioia conosciuta,
per viaggiare in geometrie astrali
che conducono a dimensioni divine.
Devo coltivare le abitudini sonnacchiose
che imprigionano i voli della fantasia.
Devo cedere alla tirannia della ragione,
che attorciglia il pensiero su se stesso,
perché si perda in una forma
di esplosione irrazionale.
Devo ascoltare l’eco degli altrui pensieri,
nobili o sciocchi, bugiardi o sinceri.
Questo è quello che da me si cerca e che so dare
Ma poi viene scambiato per incapacità d’amare
GIOIA
E SOFFERENZA
Io la ricordo.
Rivedo i suoi occhi illuminati,
colmi di quell’umido splendore,
che può donare un intimo piacere
o molto di più l’amore.
Ora, però, ha nel suo sguardo
un’ombra sì crudele,
quando mi fissa assente e non mi vede.
Per quanto mi sforzi a ricordare,
non mi spiego, quanto e quale cosa,
io abbia fatto per farmi disprezzare.
Ciononostante,
mi sorride il cuore quando la vedo
ed ogni muscolo mi muove.
INVOCAZIONE
Il tenue colore del cielo
accentua la luce nei suoi occhi.
Come prospettive d’acqua
le trasparenze riflettono
i suoi intimi pensieri.
Tutto è armonia profonda.
La vedo così!
La luce penetrante del suo sguardo
trafigge la carne che,
vibrando di gioia,
ne sente turbamento.
Vedo le rose in un vaso di cristallo
durare solo lo spazio di un mattino
e questo mi appare immenso,
solo se mi è vicino.
Che sia la vita a dirigere il gioco!!!
Lascia che sia,
questa armonia lieve e fuggitiva!
Che sia il profumo delle rose
a scaturire dai pori della pelle,
a inebriare l’aria dagli umori.
Lo spazio di un mattino
può essere la vita.
Cogliamone il senso odoroso di rugiada,
ch’è degli innamorati.
Profumo di rosa , odor di pelle chiara.
Viviamolo al presente
questo squarcio di vita.
Una carezza, un alito ed è la pelle d’oca,
che ci risveglia ai sensi dell’amore.
Senza pudore
L'ANSIA
Tarda a venire il sonno che è salvezza
da quest’ansia che mi opprime,
mentre il pensiero vaga nell’assenza della ragione.
Non si concentra l’idea, và e viene,
ma non risolve il senso del dolore.
Il desiderio offusca la mente
e mi affligge l’anima.
Il dubbio tormentoso mi scarnisce il cuore.
La paura, dà la strada alla speranza,
ma subito riprende il sopravvento
e mi riporta, prepotente, l’ansia.
Ansia crudele!
Forte.
Ansia che uccide
Ma che non dà la morte.
FUORI DI TESTA
Arroccato nella fantasia
il pensiero dipinge l’acquerello.
Monti, pascoli e persone
sono disposti in armonia.
Mare, fiume, alberi ed una nuvola,
piena di tutti i miei pensieri,
vaga nell’aria.
La gentilezza, libera ed astratta,
sta nell’ illusione e nella mia follia
ed è acquerello.
La serica lucentezza ,
nelle prospettive d’acqua, aeree
e profonde, dove le trasparenze
compongono armonie fuggitive,
come se i colori non posassero
ma volassero nell’aria.
Qualche cosa di irreale
sta nella fantasia,
è il levar del sole all’orizzonte.
L’immagine chiara del soggetto, come Fenice,
prende nuova forma nella mente
e docile ubbidisce al mio comando.
La realtà s’intreccia alla visione
che pare vera, alla mia mente contorta.
Non accenna a rientrare il mio pensiero
e vaga, nell’esaltata convinzione
che la fantasia sia verità e la veritÃ
sia solo immaginazione
SOGNO
Sono poeta solo perché scrivo?
Non sono poeta.
Scrivo per me solo, solo perché solo, io.
Il poeta scrive al mondo o lo racconta.
Il poeta mio conosce DIO.
Scrivo per non perdere la memoria.
Non scrivo perché volo.
A volte il mio pensiero prova,
prova a volare alto ma si smarrisce e frena,
confuso e illuso torna alla catena.
Così scrivo per me, per ricordare.
Come quando mi smarrii nella foresta.
Non quella Eletta, quella è un’altra cosa!
Ma anche questa è folta.
Folta di alberi giganti,
come i miei inutili pensieri
che sognando vanno avanti,
saltando il presente, per ritornare a ieri.
Ora è il presente e mentre cammino
vedo sorgere, laggiù, quasi d’incanto,
un’ombra avvolta nella nebbia lieve,
fitta ad un tratto e dura, come la mia paura.
L’ombra si avanza piano, senza fretta.
Si avvicina, mi sembra familiare.
Quasi mi raggiunge e lì mi aspetta.
Aspetta, allunga un braccio,
dalla mano l’indice mi segna
la via della vita, poi si sdegna.
Accenno un sì, mi pare di capire!
Spremo le ciglia per guardarla meglio.
La riconosco, avvolta nella nebbia,
è la mia ombra ma non ritorna mia.
Che rabbia!!!!!!!!
PENTIMENTO
Scrivo parole, poesie senza senso.
Poiché non hanno senso le parole,
se tu non sai a chi né cosa dire.
Dico a me stesso stupide parole
come l’amore, l’odio, l’amarezza
e l’ansia che delude.
Dico a me stesso l’amore che ho voluto,
che ho desiderato e che ora ho perso.
Perso da prima che mai fosse nato.
Perso perché, la persona amata,
era amata solo nella fantasia.
Poi, quando l’ho manifestato,
ho perso l’amore e l’amica mia.
Mi addosso il suo disprezzo.
Amara medicina, io lo bevo a sorsi,
facendone anticorpi per i miei rimorsi.
Così mi pento di essere nato
sgradito e allontanato.
Amplifico il cordoglio che accompagna
la mia anormalità sconfusionata.
Peregrino!
Non ho vissuto molto della vita
perciò ho deciso di scrivermi parole,
parole al vento che nessuno raccoglie.
Non accetto più di vivere la vita con la ragione.
Penso col cuore, anche se mi procura un gran dolore.
Così sono ridotto a scrivere parole,
magari al vento
che mi accompagneranno verso la fine
di questo autunno spento.
SCOTTATURE
Riesco solo ad allontanare
il pensiero che insistente mi ritorna.
Come mosca lo scaccio, lui divaga,
fa qualche orbita ma presto si posa.
Cerco di cancellare una sconfitta che,
cocente, mi reca tanta pena.
Ma il pensiero ritorna prepotente,
la rigira come coltello nella piaga
e la sconfitta nella mente vaga.
Srotola la pellicola in un momento
e si ripresenta il mio fallimento.
Così provo a pensare
finchè venisse meno alla memoria
e penso ad un’altra storia.
Provo a pensare al fiume,
che trascina tutto ciò che incontra
o limpido si adagia quando esonda,
riflettendo trasparenze di magia.
Poi si restringe e più veloce riprende il via.
Scorre impetuoso, sbatte,
si fa spuma e mai diventa onda.
Scorre e lascia indietro ciò che travolge,
all’acqua che verrà dopo di lui,
che pure è vortice impetuoso.
Impetuoso come il mio pensiero,
che, seppur vagando in altri lidi,
sempre ritorna a questo che mi duole.
E non mi lascia.
Fa finta di partire.
Poi si rigira e forma, all’incontrario, una spirale.
Spirale che finisce a mo’ di mulinello
riuscendo ad infilarsi come un tarlo;
e come tarlo corrode,
portandomi di nuovo il gran dolore.
Non riesco a dormire.
Mi faccio feto per dormire in questo letto vuoto,
grande come la mia amarezza.
Prendo sonno ma non perdo la coscienza.
UNA GIORNATA BENEDETTA
Come la luce abbaglia quando esci dalla galleria
e ti costringe a stringere le ciglia.
Come l’acqua dà sollievo, nel deserto,
alle labbra screpolate.
Come il miracolo dà la fede al disgraziato
ed il salvagente salva il naufrago perduto,
così mi è la sua apparizione.
Più si avvicina e più la mia mente
ribolle di dolce sensazione.
Esile figura, di passo e portamento.
I suoi capelli risplendono
nel grigio dell’umida giornata
e del mio sentimento.
Un dolce torpore mi pervade,
scorrendo nelle vene,
giungendo fino al cuore.
Il suo sguardo è invito alla dolcezza,
ti ci puoi perdere o ritrovare;
nella sua eterea trasparenza, ti ci puoi tuffare.
Vederla mi ridà la sicurezza
che avevo perso nel crederla sparita,
un disappunto l’aveva allontanata dalla mia vita.
Ed ora eccola, dolce, tenera carezza.
Ascolto le sue parole, che sono musica infinita.
Mi sollevano un po’ e fanno galleggiare la mia testa
nella burrasca del mio mare.
Sono perso in questo dolce torpore,
che solo una grande gioia sa donare.
Faccio come per aprire bocca
ma nessuna parola vuole uscire.
La gola è così secca.
Questo, però, è molto suggestivo:
sentirsi così stupido ma sentirsi vivo.
ANGOSCIA
Questo pensiero riemerge ancora vivo
e tormenta insistente la mia mente.
Cerco di scacciarlo alla memoria
per una frase che ho detto impunemente.
I sentimenti non sono libertÃ
che ognuno può manifestare,
anche sinceri, sono da frenare
se non hanno qualche possibilità .
Esprimere sentimenti non ha senso
se non raccolgono consenso.
Adesso riemerge ancora vivo,
questo pensiero che mi toglie la pace.
Aleggia nella mente, la sconvolge e tace.
Per un po’ tace ma subito riprende
a rimbalzare, perfido e impietoso.
Mortifica la coscienza e non si arrende,
fino a diventare morboso.
Perciò io spingo questo sordido pensiero,
per mantenerlo fermo, lì dov’era nato,
nelle acque putride.
E’ lì che merita di essere affogato.
Quel sentimento che mai ho rinnegato,
giammai l’avrei dovuto confidare,
così non sarei stato disprezzato.
Ora quella finestra resta chiusa,
forse per sempre, che tristezza!
Però resta pur sempre la dolcezza
delle gioie che aperta mi aveva dato.
NOSTALGIA
Sarà il ricordo delle strade del paese,
percorse a perdifiato, da bambino,
col cerchio e con la mazza sempre pronta
a farlo rotolare rumoroso.
O tirare calci ad ogni cosa incontrata per la via;
lattine vuote, ciottoli e selciati.
Scuotere con forza i pali dei segnali delle strade
fino ad invertire le direzioni o rompere i lampioni,
per ingraziarsi la riconoscenza degli innamorati.
Sederci in riga sul muretto a fumare la prima sigaretta.
La tosse in convulsione toglierci il respiro soffocato,
sconvolgendoci lo stomaco non abituato.
Magari il lanciare le pietre levigate a pelo d’acqua,
per fare a gara nel farle rimbalzare nello stagno.
Catturar le rane per improbabili esperimenti innaturali.
La prima volta di essere chierichetto, che mi riempì
di malsano orgoglio, a danno di chi l’avrebbe meritato.
Forse tutto questo ed altro ancora mi ha riacceso la mente.
La voglia del ritorno è più presente.
Finalmente sono ritornato al paese dove sono nato.
Però tutto è cambiato.
Le strade sembrano più piccole così pure le case.
Ora che rivedo i miei compagni,
già vecchi di vigore e sentimento,
ripenso a quanto tempo ho sperperato
e nessun sogno ho mai realizzato.
Ormai non c’è più tempo.
C’è da aspettare solo che passi il tempo.
CONVINZIONE
Non v’è più il tenero pensiero delicato
che veleggiava con la luna tra le nuvole.
Né l’affettuoso sentimento lirico
che spronava il cuore a battere veloce.
O l’idilliaco trasporto al desiderio
che smaniava perduto nella fantasia.
C’è solo nostalgia.
La sete del ricordo di quel sogno
che bastava a riempire il mio futuro.
Il rimpianto di quanto ho sperato e non avuto
mi da la certezza di trovarmi contro un muro.
A niente è servito tutto ciò che ho dato.
Anzi è servito, di questo sono sicuro,
a farmi disprezzare con impegno
perché, per lei, del suo amore non sono degno.
DELUSIONE
Sempre ho gioito della tua presenza
o nel vederti, magari, da lontano.
Ero felice, sapevo che c’eri.
Sapevo che la tua era presenza
anche in tua assenza.
A volte mi hai cercato per bisogno.
Bisogno di sfogare qualche pensiero
che affliggeva, con tormento, la tua mente.
Anche, magari, quando era cosa da niente;
ma mai il niente è niente.
Io ero lì, sempre presente.
Nemmeno c’era bisogno di cercarmi.
Io c’ero!
C’ero perché era un piacere esserti amico.
Mi riempiva di gioia esserti gradito.
Magari era egoismo, magari presunzione.
Forse: ma c’ero e ci potevi contare.
Era benessere per me la tua presenza,
mi riempiva il cuore e la giornata.
In qualche modo io l’ho ricambiata
la tua impagabile amicizia.
L’ho fatto con quel poco che ho saputo,
probabilmente senza essere capito.
Ma poi ho rotto il vaso.
Quel vaso tanto caro, colmo di sentimento,
che, in un momento, ha rovesciato
tutto quanto vi era dentro.
Così, ora, sono rosso di vergogna.
Per quel ch’è stato io provo umiliazione
e non riesco a farmene una ragione.
Per tutto questo ti sto chiedendo aiuto,
per la sofferenza che ciò mi procura.
Solo di una tua parola avrei bisogno,
per questo ti ho cercato, sarebbe la mia cura.
Non è che non ci sei, è che ti neghi.
Il tuo silenzio è peggio del disprezzo
che alimenta, a dismisura, la mia paura.
Ora che sono io ad aver bisogno,
io non ti trovo, anche se sei presente.
Questa è amicizia?
Non ho capito niente!!!!!
AUTORITRATTO
Solo lo specchio riporta alla ragione,
riflette la figura del mio essere vecchio.
Quella figura ne è dimostrazione.
La fronte ampia, solcata dalle rughe,
portate a denotare la saggezza.
La testa calva, i capelli sulle tempie,
dovrebbero mostrare assennatezza.
La barba argentea, lunga fino al collo,
che da tanto tempo ho portato,
mi nasconde gli altri lineamenti.
Scoperta è la bocca senza i denti.
Quella figura riflessa nello specchio,
stento a riconoscerla per essere mia.
Pare distante, il viso di quel vecchio.
Sembra un paesaggio naturale,
di valli verdi e rosee geometrie,
attenuate da penombra esistenziale.
Non è uno specchio, è una finestra aperta,
spalancata alla campagna in primavera,
capace di risveglio alla natura.
Però lo specchio non riflette il sentimento,
sempre fresco e disposto alla vita.
Vive di un’altra vita e si confonde,
perdendosi nel turbinio delle onde.
Non è facile accettare la vecchiaia;
quella del corpo, si sa, viene da sola,
ma la mente non si rassegna e vola;
non vuol capire quando si è arrivati
e arriva lo sconforto per essere nati.
SECONDO ME
L’artista non ha il compito di essere buono, bello o simpatico a tutti i costi,
o di fare cose ruffiane capaci di attirare la simpatia e l’ammirazione.
Ha il dovere di esprimersi al meglio, con le sue opere, capaci di suscitare
emozioni genuine, ed inviare sempre nuovi messaggi.
Quindi, la sua opera, per quanto visionaria, deve dare la capacità a chiunque di
riflettere la propria dimensione.
Le sue intuizioni, libere e potenti, devono scuotere i pensieri,
condurre le menti a nuove immaginazioni.
Visioni diverse da ciò che appare in ciò che potrebbe essere.
L’opera, quindi, deve essere un mezzo potente e dinamico, il cui destino
e compito, è di veicolare i messaggi dell’artista. Essa deve sopravvivergli per continuare a divulgarne il suo
pensiero. Questa è la sua missione che, quand’anche sarà esaurita, resterà ,
come un papiro dell’antico Egitto, a testimoniarne il passaggio nel suo tempo.